Non è affatto semplice la vita del Social Media Marketer, da una parte perché ha a che fare con un settore le cui dinamiche e strumenti cambiano dal giorno alla notte, dall’altra perché, trattandosi di un settore giovane, non è ancora “normato” e il confine tra Social Media Cialtrone e professionista è ancora poco conosciuto.
Proprio in questi anni ognuno di noi impegnato in questo lavoro ne sta costruendo le basi e progettando l’architettura, prevalentemente attraverso il sempreverde meccanismo del trial and error; provo, sbaglio, capisco che in quel modo non funziona e cerco di non sbagliare più.
Possibilmente, cerco di far sì che anche gli altri non commettano i miei stessi errori.
Nel post di oggi ti racconto ciò che ho imparato in questi anni di lavoro sul campo e gli sbagli che, proprio commettendoli o vedendoli commettere e conoscendone le conseguenze, sono i peggiori che si possano fare.
1. Tralasciare la parte più importante: l’ascolto e l’analisi
La fase di ascolto e analisi è forse la più delicata e cruciale di un Social Media Plan; è grazie ad essa che capiamo dove si parla del nostro marchio, come se ne parla, in che stato si trovano i nostri social account, se ci sono social account orfani, dove e come si parla dei nostri concorrenti e dei loro prodotti.
Grazie ad essa abbiamo tutte le informazioni che ci servono per capire da dove partiamo, quali sono le possibili criticità che ci aspettano, ma soprattutto, è grazie ad essa che sviluppiamo idee strategiche basate su fatti concreti e reali;
molto spesso, invece, si parte direttamente dalla pianificazione della strategia da adottare…e non c’è errore più grande, poiché si basa su impressioni (“i nostri clienti sono tutti contenti e parlano tutti bene di noi”), luoghi comuni (“sicuramente dobbiamo essere su Facebook…sono tutti su Facebook!”) e preferenze personali (“all’AD piace tanto Pinterest, quindi creiamo un presidio anche lì”).
Cosa ancora più centrale, l’ascolto non si fa una volta per tutte, occorre una piattaforma permanente (a giro trovi decine di tool che possono fare al caso tuo, sia gratis che a pagamento), che ci permetta di ascoltare costantemente le conversazioni che si fanno intorno al nostro brand, ai nostri prodotti, a quelli dei competitor per avere il polso aggiornato della situazione, valutare i feedback ed intervenire quando si parla di noi.
2. Affidare il proprio successo a Vanity Metrics
Affidare il proprio successo a Vanity Metrics, numeri che lasciano il tempo che trovano se non inseriti in un preciso contesto e affiancati da cifre che possano davvero indicare come si sta evolvendo la nostra performance in questi ambienti (KPI).
Affidare la propria gloria o sconfitta solo al numero di fan acquisiti, persone raggiunte, “mi piace” e altre metriche facilmente manipolabili (basta un buon ciclo di Social Ads per vederli schizzare alle stelle) o comunque lontane da quelle che contano davvero in ottica di business è la strada giusta per giungere alla conclusione più stupida di sempre:
i Social Network non servono a niente.
Ovviamente non servono a niente se abbiamo i misuratori di successo sbagliati (al tuo business, cambia qualcosa l’avere una manciata di like o un secchiello di retweet? Nella maggior parte dei casi direi di no), ma se impariamo ad utilizzare quelli giusti (es. Conversion Rate, Social Media Traffic, Response Rate & co) vedremo come questi ambienti possono trasformarsi in alleati del nostro brand.
Alleati veri.
3. Non allineare la social identity con la brand identity, la Social Media Strategy con la Marketing Strategy
Uno dei peggiori errori che si possono fare è quello di crearsi un’identità social che non coerente con l’identità del brand: la testata giornalistica iper-istituzionale, istituzionalizzata e affettata che invece nei social fa la simpaticona, dà del tu e “si sbraca” in espressioni gergali, l’e-commerce di abbigliamento giovanile che dà del Lei agli utenti e parla in modalità “comunicato stampa”, sono semplici e purtroppo diffusi esempi di brand la cui identità social è totalmente scollegata da quella reale, generando confusione e diffidenza nelle persone.
Ovviamente i Social richiedono un tono di voce e una tipologia di contenuti declinati per l’ambiente che rappresentano, ma bisogna sempre tenere a mente che è necessario presentare un’immagine coerente e riconoscibile del nostro brand in tutti i canali, off-line e on-line, viceversa rischiamo di vanificare a vicenda tutti gli sforzi comunicativi.
Una delle prime cose che ho imparato a fare nel creare una Social Media Strategy è quella di definire l’identità social del marchio alla quale allineare poi tutto il resto (Tono di voce, keyword cloud,tematiche, tipologie di contenuti), partendo però da quella che è l’identità del marchio a tutto tondo.
Idem per quanto riguarda il mancato coordinamento tra la strategia social e quella globale di marketing, cosa che, purtroppo, vedo capitare spessissimo: i social viaggiano su un binario a se stante, le altre iniziative su un altro ancora e non c’è alcuna coerenza e collegamento tra le promo, le offerte, la linea comunicativa offline e online…vanificandosi, anche qui, a vicenda.
I Social Network sono un reale alleato di business se e solo se inseriti in un piano più ampio e coordinati con il piano più ampio di marketing e comunicazione.
4. Dimenticarsi di prevedere una Social Media Policy
Nei giorni X, chi dovrebbe occuparsi di rispondere alle richieste su Twitter? Cosa fare in caso di critiche o crisi? Come comportarsi in caso di commenti offensivi? Come si dovrebbero comportare gli agenti/gli affiliati/i dipendenti del brand nei social network? Quale stile di comunicazione va adottato su Facebook e quale su Twitter? Cosa possono aspettarsi le persone dal nostro brand nei Social Network, quali regole devono seguire nei nostri spazi?
La Social Media Policy è una serie di documenti di lunghezza e profondità variabile secondo la complessità dell’azienda ed ha il compito di spiegare le norme da seguire internamente ed esternamente nell’utilizzo e nella gestione dei Social Media.
Si tratta di linee guida indispensabili, fondamentali per evitare crisi, errori e fraintendimenti sia tra le varie figure che si occupano dei social, che tra loro e la direzione, che tra la direzione e i dipendenti che, ultimo ma non meno importante, tra il brand ed il proprio pubblico.
Chiaramente una Social Media Policy per un hotel è molto più semplice e breve da definire rispetto a quella di una catena di agenzie immobiliari, anche perché prevede molte meno figure coinvolte e step decisionali, ma è altrettanto importante!
5. Dimenticarti che hai a che fare…con le persone
Avrei potuto scrivere che tra i peggiori errori di Social Media Marketing c’è l’autoreferenzialità (siamo belli, bravi e parliamo solo di noi), la ripetitività (reiterare gli stessi contenuti e le stesse promo fino alla nausea), la mancanza di progettualità (tone of voice, calendario editoriale ed obiettivi? Cosa sono, roba che si mangia?) e l’amatorialità (gli account social gestiti dal povero stagista di turno), in realtà basta semplicemente tener presente un concetto per non incappare in questi errori:
[Tweet “I #SocialNetwork sono ambienti abitati dalle persone, creati per e con le persone”]
Alle persone non piace chi parla sempre e solo di sé, chi è pedante e ripetitivo, chi cambia identità e colore come un camaleonte, chi, in generale, non sa rapportarsi con loro, rispettare i loro spazi e offrire un buon motivo per farsi ascoltare.
Questa consapevolezza, se ben compresa e metabolizzata, basta per tenerti lontano da tutti gli errori più stupidi e, insieme, fatali di Social Media Marketing.