Anche oggi mi sono imbattuta nell’ennesima attività commerciale che, con il suo bel Profilo su Facebook, pubblica foto di prodotti e ci tagga 50 persone sopra.
Mi sono ritrovata una mention su Twitter di un’emerita sconosciuta che mi suggeriva un ottimo link per un ottimo prodotto di cui non mi importa e non mi è mai importato niente.
Altre 5 mail di servizi mai richiesti e di nessuna utilità per me nella casella email.
Il sito web di un hotel dove volevo andare aggiornato al 2009, in Flash.
Succede spesso, succede troppo spesso.
E ho pensato che il Web non è un paese per vecchi.
La Rete non è un posto per chi crede nei vecchi paradigmi, per chi pensa che tartassare il prossimo con le proprie offerte sia un modo valido per promuovere i propri prodotti.
E’ che i Social non sono nati per vendere e chi pensa di piazzarci dentro il suo materiale promozionale come farebbe con un pacco di volantini non c’ha capito niente.
Si parla tanto di crisi, quella reale, quella che fa fallire le aziende e manda a casa un sacco di persone oneste, eppure ancora si fatica a capire l’importanza della promozione dei propri servizi, dei propri prodotti, l’importanza della comunicazione in ogni azienda che voglia definirsi tale.
Quanto conta sapersi raccontare e conoscere i propri target, quanto conta capire il mercato che cambia, i linguaggi che cambiano, il modo di vendere stesso che cambia.
Il web e i social media sono solo un’ingranaggio di un meccanismo inceppato e logoro, ma ce lo raccontano con una trasparenza incredibile.
Ci raccontano di una realtà aziendale, quella Italiana, che in gran parte non ha capito come il modo di rapportarsi delle persone sia cambiato, come le leggi che regolano il meccanismo di compra/vendita non siano più le stesse, come la fidelizzazione sia un ricordo e la gente sia stanca di un diluvio di immagini ed imperativi che ogni giorno si fa più insopportabile.
C’è chi ancora crede nella validità della teoria dell’ago ipodermico, dove io lancio il messaggio su una massa passiva di gente che agirà in base a ciò che chiedo.
Non esiste, non funziona.
Eppure, c’è chi ci prova.
C’è chi, figlio dei meccanismi e delle modalità comunicative da media tradizionale cerca di lanciarsi nel Web creando un sito web-vetrina, aprendo account social che con il loro linguaggio metallico e formale raccontano con slogan ed offerte un’azienda piatta, non umana, tristemente vecchia.
Noi che lavoriamo con il web possiamo spendere mesi e mesi in discussioni, chiedendoci se sia meglio che un brand apra una sua community o investa nei social e in un sito web attrattivo, ma il problema sta a monte:
il problema sta in un Paese, la cui spina dorsale è composta da PMI che, per la maggior parte, ancora non hanno capito che pesci pigliare.
In un Paese dall’immenso patrimonio artistico, culturale e storico, dai mille artigiani e dalle tante storie da raccontare che si ritrova smarrito davanti ad un mondo di comunicazione, linguaggi, pensieri che cambia.
Il Web non è un paese per vecchi.
I vecchi che parlano di pubblico e audience, i vecchi che vedono i clienti come portafogli ambulanti, i vecchi che non si sanno raccontare e rimangono distanti e chiusi davanti a chi chiede solo di conoscerli in trasparenza.
Non è un semplice discorso di età anagrafica, è un discorso di attitudine al cambiamento e, soprattutto, di ascolto:
sedersi ad osservare, guardare in faccia il cambiamento e vederlo come opportunità di crescita.
Darwin ci insegna che chi non sa abbracciare il cambiamento e diventarne parte non sopravvive ed è un tremendo dato di fatto.
Trasformare il cambiamento da criticità in opportunità, questo è forse ciò che le PMI dovrebbero capire, metabolizzare e tradurre in azioni concrete per non farsi sopraffare.
Perchè il Web non è un paese per vecchi.