Lo sappiamo bene, sia come consumatori che come addetti ai lavori:
non è quasi mai lineare, semplice e “mono-canale” il percorso che ci porta dal conoscere un brand ad acquistarne un prodotto (o richiederne un servizio).
Anche non considerando i vari fattori offline che influenzano le nostre scelte di acquisto online (tv, carta stampata, passaparola..), i canali e gli strumenti che in Rete ci influenzano sono davvero tanti e diversi in base al settore in cui operiamo:
dalla ricerca organica, a quella a pagamento, alle e-mail fino ad arrivare ai social network, alla rete display e ai vari referral.
Lo sa bene Google, tanto da aver creato un tool gratuito che permette di vedere ciò che interviene nel Viaggio del Consumatore Online per dimensione dell’azienda, settore e paese (no, l’Italia ancora non c’è), un tool che mira a dare un messaggio forte e chiaro:
se continui a dare peso solo all’ultimo canale/strumento che ti ha portato conversioni al sito, stai facendo un grossissimo errore.
L’errore commesso da tanti imprenditori e digital marketer
Anche se siamo consci di aver attivato vari canali e strategie che ci aiutano a portare traffico al sito e, soprattutto, conversioni (micro e macro), quando arriva il momento di valutare cosa ha funzionato quasi sempre apriamo la nostra fida Vista di Google Analytics e guardiamo cosa ci racconta la voce “Conversioni”, fermandoci sulle sorgenti primarie che hanno portato al raggiungimento degli “Obiettivi”.
Il problema però è che Google Analytics di default utilizza un modello di attribuzione “Ultimo click non diretto”che “ignora il traffico diretto e attribuisce il 100% del valore di conversione all’ultimo canale su cui il cliente ha fatto clic prima di un acquisto o di una conversione.”
E cosa ne é di quello che ha fatto sì che le persone conoscessero nostro brand? Che lo prendessero in considerazione nella loro scelta di acquisto? Che tornassero a visitare il sito? Lo sapevo io che Facebook non serve a niente!
Proprio perché, secondo il modello che Google Analytics ci offre di default, questi canali non hanno alcun merito.
Dico di default, poiché Google, come abbiamo visto in apertura, di fatto sa benissimo che in realtà sono più fattori che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi per la maggior parte dei brand e che prendere in considerazione solo quello che ha dato “la spinta finale” è un miope errore.
Lo sa talmente bene che ci offre più modelli di attribuzione tra i quali scegliere, proprio in base al peso effettivo che hanno i vari canali/strumenti che mettiamo in campo.
I modelli di attribuzione: dare il giusto peso ai vari elementi
Nella nostra Vista di Google Analytics possiamo scegliere e confrontare i vari modelli di attribuzione andando a Rapporti > Conversioni > Attribuzione > Strumento confronto modelli.
Qui possiamo non solo valutare il peso dei vari canali/strumenti che hanno contribuito al raggiungimento degli obiettivi del nostro sito, ma anche confrontare tra loro i modelli e capire davvero il peso che hanno i vari elementi della nostra digital strategy che mettiamo in campo nel far raggiungere alle persone i nostri obiettivi di business (conversioni).
Tra i modelli di attribuzione predefiniti troviamo:
- Ultima interazione: il 100% del valore della conversione viene attribuito all’ultimo canale con cui l’utente ha interagito per arrivare a compiere l’azione.Si tratta di un modello ottimo se hai un ciclo di vendita molto breve e lineare, in cui non intervengono elementi in fase di conoscenza del brand, considerazione e interazione con esso prima della conversione (ed è riduttivo nella maggior parte dei casi).
- Ultimo clic non diretto: come dicevamo, è il modello che Google utilizza per impostazione predefinita e che ignora il traffico diretto, attribuendo il valore della conversione all’ultimo canale su cui ha interagito l’utente.
- Ultimo clic AdWords: attribuisce il 100% del valore della conversione all’ultimo annuncio Adwords su cui l’utente ha cliccato ed è utile per capire quali annunci hanno portato le conversioni, ovviamente.
- Prima interazione: tutto il valore viene dato al primo canale con il quale il cliente ha interagito. Questo modello è interessante per capire quale canale genera la conoscenza del brand/prodotto.
- Lineare: il credito viene distribuito in egual maniera a tutti i canali/strumenti che hanno contributo alla conversione.
- Decadimento temporale: viene dato maggior credito ai canali temporalmente più vicini al momento della conversione. Utile se il ciclo di vendita prevede una brevissima fase di considerazione e una rapida scelta di acquisto.
- Sulla base della posizione: di fatto è un’ibridazione tra Ultima interazione e Prima Interazione, dove viene assegnato in genere un 40% di credito alla prima interazione, un 40% all’ultima e il restante 20% viene diviso tra quelle centrali. Trovo questo modello molto interessante e valido, proprio perché dà più importanza a due momenti fondamentali del processo che porta gli utenti alla conversione: quello che ci ha fatto scoprire e quello che ci ha fatto decidere di agire.
Nessuno di questi modelli ti soddisfa? Puoi sempre creare il tuo modello di attribuzione personalizzato.
Il punto è che…
Ogni settore, ogni brand, ma anche ogni popolo ha le sue logiche di acquisto, touch point diversi con pesi diversi che influiscono nel processo di conoscenza, considerazione e scelta finale; dare importanza solo all’ultimo elemento che ha portato le persone a sceglierci non solo può farci fare errori imperdonabili (tipo tagliare fuori un determinato canale che, ad esempio, è fondamentale nel far conoscere il brand), ma anche avere una visione miope e distorta di ciò che ci porta a raggiungere i nostri obiettivi di business.
Confrontare e valutare tra i vari modelli di attribuzione, scegliendo quello che più si avvicina a una distribuzione realistica dei vari pesi per tutti i canali messi in campo, ci permette di avere un’ampia panoramica di cosa funziona e quanto funziona della nostra strategia digitale.