Stamattina sono andata in un bar, nel quale ero stata appena altre 3 volte.
Un bar molto trafficato, di quelli vicino agli uffici, nei quali la mattina fai anche fatica ad entrare per quanta gente c’è dentro.
Mi avvicino al bancone, il barista mi vede.
Non faccio in tempo a dire niente, che mi mette davanti ciò che prendo di solito a colazione.
Se n’è ricordato.
Mi ha visto 3 volte e se n’è ricordato.
In realtà stamattina non volevo il caffè -ne avevo già presi 2 a casa-, ma mi ha fatto talmente piacere il fatto che lui si ricordasse cosa prendevo e me lo preparasse senza che io dicessi niente, che mi sono limitata a sorridere e l’ho bevuto.
E mi sono detta “ma quanto fa piacere quando qualcuno ti riconosce e te lo dimostra, con un piccolo gesto?”
E’ che abbiamo proprio bisogno di sentirci riconosciuti, di sentirci “speciali” in mezzo a tanti;
è nelle nostre vene, cresce insieme a noi l’esigenza di essere visti nella nostra unicità,l’importanza dello sguardo altrui nel costruire la nostra identità, fin da bambini.
Ne parla tanto Ricoeur dell’importanza del riconoscimento, lo dice Rita Fadda con una frase bellissima (in un libro che ho letto e continuo a rileggere per quanto sia spettacolare ed illuminante):
“L’occhio del volto dell’altro fa sì che il caos e la notte che incontriamo guardando dentro noi stessi si ordinino,
diventino cosmo e mondo.
La nostra identità, fragile, multipla, frammentaria, sempre incompiuta,
diventa possibile solo in uno sguardo che la compone
e che la riconosce nella sua singolarità.”
Sì, è fondamentale per la nostra crescita personale il venir riconosciuti dal prossimo, è importante per la costruzione della nostra autostima ed è importante anche quando vogliamo o non vogliamo comprare qualcosa.
E’ importante sapere che per chi abbiamo davanti non siamo solo un numero o un portafoglio, ma veniamo riconosciuti come esseri umani nella loro unicità.
Io tornerò sicuramente in quel bar, e se mi dovrò trovare a scegliere tra quel bar e un altro che magari mi è fisicamente più vicino ma mi fa sentire un mero cliente alla stregua di tanti altri, preferirò sicuramente fare qualche chilometro in più.
Ed è la stessa cosa, anche nella rete, anche nei social network:
si parla di importanza delle relazioni, di come sia fondamentale costruire un rapporto e coinvolgere i propri contatti, ma come posso farli sentire realmente coinvolti se non li faccio sentire prima riconosciuti ed ascoltati?
Com’è possibile creare una relazione senza riconoscere nell’altro una persona in tutta la sua umanità?
Non è semplice, soprattutto quando si parla di grosse aziende con tanti contatti e tante conversazioni da gestire, eppure è questa la sfida dei nuovi mercati.
Parlare con una voce umana, come dice il Cluetrain Manifesto.
Basta andare sulla Pagina italiana di Ikea per vedere cosa voglia dire riconoscere, seppur digitalmente le persone:
la gente scrive e commenta, Ikea risponde a tutti chiamandoli per nome, facendo domande pertinenti rispetto quello che è stato detto, interagendo, scherzando, raccontandosi e facendo raccontare.
Niente frasi standard da risponditore automatico, ma conversazioni, battute, dialoghi costruttivi, che stimolano l’avventore di turno ad inserirsi in quella conversazione, dove l’azienda lo ascolta e parla con lui.
E basta dare uno sguardo alla Pagina Ikea per vedere quanto questo modo di gestire i contatti venga premiato dalle persone.
Perché nello ZMOT, nei social media, conta anche questo per prendere una decisione sui propri acquisti, soprattutto se non saranno immediati: lasciare una bella sensazione a chi si avvicina alla nostra azienda.
Online, offline, conta il modo.
Perchè quando andrò a decidere cosa comprare e dove comprare mi ricorderò come mi hai fatto sentire.
Concludo con le parole meravigliose di Maya Angelou:
Ho imparato che
la gente dimenticherà ciò che hai detto
la gente dimenticherà ciò che hai fatto
ma non dimenticherà mai come l’hai fatta sentire”.