Tutti sono su Facebook.
[tweetable]Tu, azienda, non puoi non essere su Facebook.[/tweetable]
Non puoi non aprire un account Twitter o piazzare qualche foto su Instagram perché le persone oggi sono lì, le puoi raggiungere lì e non cercare di farlo è un peccato mortale.
Eppure non si tratta semplicemente di scegliere quale social abitare e come abitarlo al meglio, è molto di più.
Si tratta di una rivoluzione che deve iniziare off-line, nella quale i social media sono solo la punta dell’ice-berg, lo step finale che ci aiuta a comunicare questa rivoluzione e renderla un’arma vincente.
Un nuovo modo di informarsi e di scegliere: i contenuti e le esperienze generate dagli utenti
Le persone parlano tra loro e si lamentano in un modo molto diverso da prima.
Se fino a qualche anno fa il cliente insoddisfatto al massimo si sarebbe limitato a dire a tutti i suoi amici e conoscenti di non comprare niente da te, oggi quel cliente sa che può “avvertire” e trovare solidarietà in altre centinaia, migliaia di persone che, come lui, sono rimaste deluse da ciò che hai propinato loro.
Basta un tweet, una foto, uno status su Facebook, un commento in un forum o in un blog per raggiungere una quantità indefinita di utenti e condizionare la loro scelta finale: quella di non comprare niente da te, di non prenotare da te, di non avvalersi di ciò che offri perché definito scadente.
Le persone decidono in un modo molto diverso da quello da come decidevano 10 anni fa, quando si lasciavano orientare da spot televisivi, campagne promozionali e un paio di consigli degli amici:
sanno che possono prendere decisioni molto più autonome e ponderate semplicemente cercando nel Web, chiedendo a Google cosa si dice in giro della tua attività, quanto sia affidabile e se i tuoi concorrenti offrano davvero un prodotto meno buono del tuo.
Le persone condividono gioie e delusioni in modo aperto, diretto, spesso sensazionalistico.
Non tollerano più di essere prese in giro con promesse che le aziende non sono in grado di rispettare e lo raccontano, come raccontano le piacevoli sorprese che alcuni prodotti offrono loro, facendo in modo che tutti gli amici, conoscenti e non solo facciano tesoro della loro esperienza per orientare le loro scelte future.
Non si tratta di Facebook, Twitter o Pinterest, si tratta di un nuovo modo di raccontarsi e raccontare il proprio quotidiano facendo Rete, di evitare gli errori conoscendo quelli già fatti dagli altri, di informarsi in modo autonomo e consapevole prima di comprare, sapendo che l’esperienza dell’utente X vale molto di più rispetto alle mirabolanti promesse che la tua azienda fa nella ricerca spasmodica di rifilare ciò che vende.
L’Italia delle PMI e il social media marketing come “compartimento stagno”
Secondo l’indagine ISTAT del 2009, le Pmi sono la spina dorsale dell’economia Italiana: si parla di un 95% di aziende con meno di 10 addetti.
Personalmente ho a che fare tutti i giorni con piccole imprese che, sulla scia del “Ommioddio devo essere anch’io su Facebook”, mi contattano per curare i loro social account.
Al di là del fatto che, spesso, non hanno nemmeno un marketing plan che orienti le loro scelte e attività di comunicazione, (cosa, a mio avviso, non grave, ma gravissima) , non hanno la benché minima idea di cosa sia il Web 2.0 e del fatto che non basti avere un paio di social account per fare social media marketing.
Si tratta di rendere più trasparente la propria realtà aziendale tout court, di iniziare ad ascoltare ciò che realmente le persone pensano di noi e di ciò che offriamo, di fare tesoro delle critiche e di trasformarle in opportunità di miglioramento.
Si tratta di innescare un circolo virtuoso in cui ciò che facciamo off-line viene raccontato on-line e ciò che ci viene detto on-line diventa il motore del cambiamento e del miglioramento continuo per la nostra realtà imprenditoriale.
Si tratta di piantarla con promesse che non si è in grado di mantenere, di analizzare i propri punti di forza e portarli alla luce, di coordinare la propria immagine con la realtà della propria offerta e di fare pace una volta per tutte con quello che è, a mio avviso, un concetto fondamentale:
non conta quello che io penso di offrire o quanto io credo di essere bravo in ciò che faccio, conta quello che percepisce il mio target e come mi restituisce in parole le sue percezioni.
Ecco che la mera Pagina Facebook con quindicimila tipi di interazione che tutti vogliono perde di significato per lasciare spazio a un cambiamento più profondo, che investe l’intera realtà aziendale…nella quale Facebook, Twitter e compagnia sono solo la punta dell’iceberg.
Non è semplice social media marketing e non basta un social account per fare social media marketing:
si tratta di ascoltare, scendere dal piedistallo, imparare a raccontarsi per ciò che realmente siamo e possiamo offrire.
Lasciare perdere le super-campagne pubblicitarie ingannevoli e i mille aggettivi con i quali adoriamo vestirci in virtù di una comunicazione più genuina, reale e vicina alla nostra realtà.
La difficoltà più grande che io vedo oggi da parte delle PMI sta nel non riuscire a capire la rivoluzione già iniziata, quella che mette al centro le persone e le loro opinioni in un ambiente in cui il confine tra on-line e off-line è sempre più sfumato.
Sta nel capire che non si tratta di Facebook, né di Twitter, quanto di rendersi conto che le persone conversano in un modo quantitativamente e qualitativamente diverso da prima e in questa conversazione c’è anche la mia impresa…che mi piaccia o no.